A Berlino e Londra si “investe” nel clubbing. E Torino che fa?

Ok, forse “investire” non è il termine più corretto, ma la notizia ha già fatto il giro del mondo e dà l’idea del diverso approccio che alcune città europee hanno nei confronti del clubbing rispetto a Torino (dove vive e lavora chi sta scrivendo) o altre città italiane.

E’ infatti di pochi giorni fa la notizia che il governo di Berlino avrebbe stanziato 1 milione di euro per finanziare il “soundproofing”, ovvero il trattamento acustico, di diversi locali cittadini situati in zone in cui l’attività notturna e, appunto, i decibel prodotti da questa, potrebbero infastidire chi vive nella medesima area. E questa news ha fatto eco a quella in cui il sindaco di Londra, nella bozza del “London plan”, ovvero il piano di investimenti e sviluppo della capitale anglosassone, obbligherebbe i grossi gruppi edilizi a garantire un’adeguata insonorizzazione a tutti quei palazzi che andrebbero a sorgere in zone in cui sono già presenti locali notturni.

Si può discutere sul fatto che siano soldi investiti bene o male (e infatti ci sono già arrivate voci da Berlino per cui alcuni addetti ai lavori avrebbero preferito che gli stessi soldi venissero usati per risolvere altri problemi della città) o che siano una goccia nel mare, ma è indubbio che azioni di questo tipo diano comunque l’idea che in alcune città il clubbing in senso lato e tutto ciò che ci gira intorno (vedi anche i Festival) sia percepito come risorsa e non come ostacolo allo sviluppo e al quieto vivere.

E a Torino? Ecco, Torino, quella città che si era conquistata il titolo di capitale italiana del clubbing tra la fine degli anni ’90 e tutto il primo decennio dei 2000. Quella città dove c’erano i Murazzi e i Docks Dora, poli della nightlife cittadina che ci invidiavano non solo in Italia, ma anche all’estero, tanto da finire in tutte le guide turistiche come attrattiva notturna.

Peccato che poi i Docks prima, i Murazzi poi, siano scomparsi. E con loro hanno chiuso decine di locali che non solo muovevano le notti torinesi, ma davano lavoro a centinaia di persone e creavano ricchezza per la città. Sì, creavano ricchezza. Perché se qualcuno non l’avesse ancora capito (e purtroppo sono in molti) il clubbing genera ricchezza. Senza dover scomodare i grandi flussi turistici internazionali, infatti, basta pensare a quante persone, ogni weekend, si muovevano da buon parte del Nord Italia per raggiungere Torino e i suoi locali. Facendo lavorare non solo attività commerciali come ristoranti, bar e alberghi, ma anche alimentando l’offerta artistica e culturale di tutta la città. Fenomeno che invece negli ultimi anni sembra essere circoscritto ai grandi Festival.

E qui emerge un altro paradosso. Perché Torino è la città che, pur essendo un “buco di culo” per posizione geografica, collegamenti e bacino d’utenza (almeno se la si confronta con Milano e Roma), ospita i tre più importanti festival di musica elettronica in Italia (FuturFestival, Club to Club e Movement), oltre ad almeno una decina di serate continuative che ogni weekend fanno ballare migliaia di persone.

Eppure sembra che questo non conti. Le istituzioni ignorano la cosa: e infatti Docks e Murazzi sono stati chiusi non per una precisa scelta della politica, ma per una sua completa disattenzione (oppure per un’attenzione troppo alta nei confronti delle poche voci, ma forse influenti, a cui poteva dar fastidio una vita notturna troppo sviluppata vicino a casa propria). E così quelle zone del clubbing che, seppur con tutti i loro problemi, erano una valvola di sfogo per giovani e meno giovani, sono stati chiusi per una completa mancanza di strategia e valorizzazione economica. E allo stesso modo i giovani si sono riversati nella “mala-movida” a basso costo, che non crea ricchezza per nessuno e soprattutto crea disagi ancora maggiori, visto che è localizzata in zone altamente popolate come San Salvario o Vanchiglia.

Insomma, se non vogliamo o non possiamo per forze trovare i colpevoli di quanto accaduto e sta accadendo nella nostra città, sempre più povera sotto questo punto di vista, anche se più “ricca” rispetto a tante altre, forse si potrebbe almeno cercare di capire che il clubbing è ancora una grande risorsa. Un risorsa che però sta seguendo le orme dei cervelli in fuga verso l’estero. Vogliamo davvero che finisca così?

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