TechnoFrames: Feiern – Don’t Forget To Go Home (2006)

“TechnoFrames” è una piccola rassegna di documentari, curata dalla nostra collaboratrice Dora Bugatti, sul mondo della musica techno ed elettronica. In sei appuntamenti a cadenza bisettimanale presenteremo un documentario gratuitamente fruibile sul web, con lo scopo di ampliare l’orizzonte narrativo della musica techno non solo con i suoni, ma anche con le innumerevoli immagini che ha prodotto nel corso degli anni, dalla sua nascita alla contemporaneità.

“Prima mi condussero all’interno di un cortile dove il suono raggiungeva ovattato le nostre orecchie. Attraversammo come una sorta di porta di ferro e all’inizio non vedemmo nient’altro che buio. La prima cosa che riuscimmo a percepire era il suono fragoroso di bassi che pompavano, casse tremanti senza riposo. Quando i nostri occhi si abituarono all’oscurità e ai giochi rapidi di luce, vedemmo 7000 persone ballare allo stesso ritmo. Una musica emozionante mi mosse alla lacrime. Venimmo travolti da una sorta di energia che ci trapassò tutti…”

“Feiern – Don’t forget to go home” è un documentario del 2006 scritto, diretto e prodotto da Maja Classen. Comincia con un racconto corale, frammentato, della prima volta nel Club. Non è importante quale Club nello specifico, ma il Club come luogo archetipo, raccoglitore di esperienze individuali e allo stesso tempo universali. Importante, però, la locazione geografica: Berlino, luogo dove per antonomasia nasce il fenomeno di “fare festa” ogni giorno della settimana, ventiquattro ore su ventiquattro, che sia giorno o notte. A Berlino non è necessario dover aspettare il weekend, anche il lunedì mattina qualcosa può succedere. Filo conduttore delle testimonianze -per la maggior parte in tedesco- è questa parola che dà il titolo al film e che ritorna di continuo, ossessivamente: Feiern. Tradotto letteralmente in italiano significa “festeggiare”, ma nell’accezione della nostra lingua è intrinseco un evento, una causa scatenante l’atto. In questo caso, la parola indica un atteggiamento fine a se stesso; uno stile di vita. 

Difficile uscirne, una volta entrati, complici le droghe che per alcuni fanno interamente parte dell’esperienza e da questa sono inscindibili. Musica techno e droga vanno di pari passo: la ripetitività dei pattern sonori unito ad un cocktail di almeno cinque droghe diverse -MDMA, speed, eroina e cocaina tra le più gettonate- portano all’alterazione dello stato di coscienza, avvicinano le persone, creano velocemente legami ed equilibri degni di un microcosmo parallelo al nostro dove ogni sensazione ed emozione è amplificata. Così, gli intervistati parlano delle amicizie createsi nei club e della difficoltà o della facilità -per alcuni e per altri- di trovare un* compagn* all’interno dell’ambiente; della sessualità e della promiscuità, favorita dalle droghe e dalla presenza del fenomeno delle Darkroom; del poliamore e della gelosia; della dipendenza da sostanze e dall’esperienza stessa del club. Tutte sfaccettature molto umane, molto quotidiane, ma concentrate nel giro di una sola notte. Un tour de force che richiede tempo libero e da spendere, come molto ingenuamente dirà Ricardo Villalobos, fra gli intervistati: “A Berlino la gente non ha bisogno di lavorare.”

Sembra che il vuoto lasciato da chi decide di uscirne per motivi legati alla dipendenza sia molto grande e incolmabile, sostituto da una noia esistenziale. La stessa noia che ci spinge a creare questo genere di situazioni collettive, dove possiamo avere l’impressione di essere una comunità unita, senza necessariamente doverci portare a casa responsabilità emotive effettive nei confronti del prossimo. Un fenomeno che risente moltissimo dell’iper-individualismo contemporaneo. Tutto va bene; l’importante è che, alla fine della festa, non ci si “dimentichi di andare a casa”.

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