Alcune considerazioni sul MTMF15

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Si è appena concluso il Movement Festival che si tiene ogni anno, ormai da 10 anni, il 31 Ottobre a Torino e dove si sono esibiti tra gli altri anche due dei resident di Genau, Gandalf e Artès. La notte di Halloween per i pagani è la festa in cui “risorgono” i morti in mezzo ai vivi, un’occasione per travestirsi e per i bambini di divertirsi. Per Torino invece rappresenta da anni l’arrivo di un grandissimo evento che di anno in anno è cresciuto esponenzialmente, sia come offerta musicale sia come pubblico. E per celebrare i dieci anni non ha fatto mancare niente al suo pubblico.

Alcuni lo chiamano il festival degli “zarri”, altri lo adorano, altri lo criticano, altri ancora non possono fare a meno di mancare, altri hanno deciso di non parteciparvi più. Al di là dei gusti musicali di ognuno di noi, al di là di quanto possano piacere i festival, del target di pubblico, dell’affollamento, e di tanti altri aspetti che è sacrosanto giudicare per la decisione di partecipare o meno ad un festival, alcune considerazioni finali vanno fatte.

Per questa edizione le sale erano cinque, più di quante siano mai state. Ogni sala ha voluto rappresentare un genere o addirittura uno “stile”, come nel caso di Innervision. In ogni sala si è stati comodi, solo nelle primissime file dei palchi main si stava stretti. Beh, non ho mai visto festival dove nelle prime file si stia in poltrona. Una sala in particolare merita degli elogi, la sala Detroit. In tutto somigliante alle migliori venues industrial europee, per esempio il Kraftwerk dell’Atonal di Berlino, trasmetteva tutta l’atmosfera raw-industrial del Lingotto Fiere, con i giganteschi pilastri di cemento e i tubi in acciaio a vista. Davvero un colpo d’occhio eccezionale.

Le code erano minime sia al bar che in altre postazioni. Chi si lamenta che ha fatto coda è perché probabilmente la spesa in casa se la ritrovano grazie a mamma e papà.

Il pubblico. E’ vero, inutile mentire, in mezzo ai ragazzi del Movement Festival non troverai mai la Regina Elisabetta o il Re di Svezia. Troverai il pubblico da festival, quello che in Italia è presente ovunque. Ragazzi miei questa è l’Italia, questi siamo, o ci accettiamo oppure ci lamenteremo all’infinito del tipo accanto che fischia o di chi barcolla o di chi cerca rissa. Ai festival bisogna andare con una certa mentalità se no è vero che in Italia (non proprio in tutti i festival italiani) si rischia di trovarsi in situazioni non proprio piacevoli rispetto alle aspettative. Il Movement però in questo ha sempre cercato di migliorare, tenendo a bada ogni focolaio e creando un’atmosfera tale per cui anche il più animoso sia rilassato e sorridente per l’aria di festa che si respira.

L’impianto e la musica. Beh, se vieni al festival per sentire ogni minima variazione di suono o la migliore prestazione in termini qualitativi del tuo dj preferito, forse è meglio che rivedi le tue aspettative. Ai festival la maggior parte dei dj vengono per suonare e fare divertire, non per portare gli unreleased o fare le acrobazie moltiplicando le mani sugli strumenti. E soprattutto l’impianto, qualunque esso sia, non permetterà mai di diffondere il suono in ogni angolo di tutte le immense sale senza distorcerlo.

Come per ogni festival ci sono degli ottimi spunti su cui riflettere, per il Movement ce ne sono davvero tanti. Molti da cui prendere esempio, almeno in Italia. Le critiche che ben vengano ma che siano costruttive invece che distruttive e alienanti per il pubblico.

 

 

Simone Spicciafaccende

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