Project-To: “Un progetto che si nutre di contemporaneità.”

Intervista a cura di Cristina Baù

Project-To è un progetto torinese che mette insieme musica e visual art. Nasce dalle menti di Riccardo Mazza, professore della Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo, noto in Italia e all’estero anche per le sue ricerche sul campo della psicoacustica e della valutazione del suono spaziale, e Laura Pol, fotografa e videomaker, autrice di numerose opere in ambito artistico, culturale e museale. È un progetto che si sviluppa dall’interazione di suoni puramente elettronici con composizioni originali eseguite dal vivo, insieme a visual sapientemente mixati in tempo reale. Ma sostanzialmente è il progetto che nasce dall’incontro di due vite passionali, due anime distinte e a tratti diverse, che decidono di intraprendere un percorso insieme trasformandolo in un viaggio onirico, arrivando a noi direttamente al cuore.

C – Il vostro è un progetto autorale che tocca molti aspetti stilistici e tecnologici, fatti di immagini e suono, affrontando tematiche diverse a seconda del lavoro a cui vi approcciate. Nella visione uno spettatore può sentirsi immerso come in un film. Anche il cinema è d’ispirazione nel vostro lavoro, e se si quanto?

PT – Laura ha un background di tipo letterario e storico e arriva artisticamente dalla fotografia, mentre io arrivo più dalla ricerca sonora in ambito anche psicoacustico, in particolare nei primi anni 2000 mi sono occupato di suono spazializzato realizzando per la Dolby la prima libreria sonora al mondo in surround proprio per il cinema. Spesso il nostro lavoro ha uno sviluppo molto simile a quello di una sonorizzazione di film, dove elementi sonori e visivi pur essendo frutto di scelte artistiche autonome si concretizzano in una fusione tra due linguaggi. L’obiettivo finale è quello di trasformare lo spazio in un ambiente immersivo in cui musica e immagini diventano il contenitore all’interno del quale il pubblico vive la propria  esperienza. La prerogativa è che tutto ciò avvenga rigorosamente dal vivo, sia per quello che riguarda il suono che il trattamento delle immagini, un linguaggio artistico che viene anche definito Cinema Live , una specie di cinema interattivo spaziale…

C – Com’è nata la collaborazione con Seeyousound?

PT – È nata nel 2016 grazie a una nostra cara amica comune, purtroppo prematuramente scomparsa, che ci ha fatto incontrare. Seeyousound è un festival davvero particolare che lavora sulla contaminazione tra immagini e musica dando vita ad una sperimentazione che ribalta il punto di vista sul rapporto tra musica e cinema. Rientrando il nostro lavoro pienamente nel loro format abbiamo iniziato a collaborare e col tempo siamo diventati sempre più vicini, confrontandoci e dando vita anche ad esperienze diverse come la progettazione della grande mostra SoundFrames allestita alla Mole Antonelliana nel 2017 o la didattica con Frequencies, call per giovani compositori chiamati a confrontarsi nella sonorizzazione per il cinema muto.

C – The white side / The black side è il vostro album di esordio, con un titolo dal forte contrasto. Cosa rappresentano per voi il bianco e il nero?

PT – È un album molto particolare, il risultato di un progetto musicale per immagini dopo molti anni di assenza dalla scena. Infatti dal 2000 al 2015 mi sono per lo più dedicato alla progettazione di spazi museali di tipo immersivo, mentre la parte sonora era sempre realizzata a fronte di una specifica ambientazione in funzione di un determinato spazio museale. Nel 2015 con Laura abbiamo deciso di dar vita a Project-TO ispirandoci al concerto dei Chemical Brothers che abbiamo visto a Roma e che ci ha folgorati. Così ho deciso di concludere l’esperienza museale pubblicando in 9 CD una raccolta monografica delle musiche composte in quell’ambito negli ultimi quindici anni (Riccardo Mazza Experimental Works 2000-2015 edizioni Machiavelli Publishing) e con Laura di dar vita al primo progetto discografico con live A/V. Un album doppio The White Side, The Black Side le due facce che rappresentano la dualità nella quale viviamo immersi, musicalmente il lato bianco é più aperto, un “big beat” anni 90’ in stile Chemical Brothers, Prodigy, Orbital e quello nero è oscuro, una rivisitazione degli stessi brani in chiave dark, tecno-sperimentale. Un album che ha avuto moltissime recensioni e che ci ha dato un buon punto di partenza per l’evoluzione artistica che stiamo seguendo ora.

C – Con IRO invece emerge un nuovo elemento che rappresenta la svolta cromatica, e cioè la voce. Quanto è importante la componente vocale nella musica di oggi e quanto lo è stata nelle hit del passato?

PT – IRO in giapponese significa “colore” e le tracce che sono 6, introducono l’elemento vocale attraverso la lingua giapponese. Non si tratta in realtà di un album che introduce l’elemento vocale in forma di canzone, rimane un lavoro underground ancora lontano dal mondo mainstream dove invece la voce rimane l’elemento portante oggi come ieri.

IRO ha come ispirazione l’haiku, un tipo di componimento poetico nato in Giappone nel XVII secolo. Ogni traccia del disco è dedicata ad un haiku differente dove il tema delle stagioni è caratterizzato da almeno una parola che le rappresenta e dalla quale parte una ricerca anche sulla musicalità del verso. L’essenzialità pura di questi poemi, che esprimono concetti ed immagini che rimandano alla natura e i rovesciamenti semantici che permettono un salto dell’immaginazione tra idee e immagini apparentemente distanti, è l’ispirazione anche del lavoro di Laura che, contaminando fotografia e video, crea un linguaggio che è parte integrante, come per i due album precedenti, del progetto per il Live Audio-Visual.

C – Un’identità artistica come la vostra, che viene espressa attraverso suono, immagini,  coreografia e poesia, ha bisogno di tanto amore e pazienza, si nutre di ricerca, studio e passione, ma anche di equilibrio e capacità di scambio, e una buona comunicazione. Qual è il segreto che vi rende partner nella vita privata e al contempo nel lavoro?

PT – Il nostro è un progetto che si evolve continuamente e che si basa sulla ricerca di un linguaggio che in qualche modo cerca un connubio tra diversi ambiti. Ho conosciuto Laura mentre curava delle mostre dal punto di vista dell’immagine e, mentre io che sono più strettamente legato al suono facevo fatica ad entrare in quel mondo, rimasi colpito dal suo modo di rappresentare le immagini, di come collocava gli elementi visivi nella composizione all’interno di un video o di una fotografia. Iniziammo a collaborare scambiandoci rispettivamente immagini e suoni e la cosa ha funzionato. Il segreto è il rispetto assoluto dell’autonomia artistica dei nostri ruoli, una volta individuato l’ambito di ricerca artistico-culturale per un progetto lavoriamo quasi in modo indipendente, io sulla musica e Laura sulla parte visiva, confrontandoci di tanto in tanto sull’avanzamento dei lavori, ma l’ultima parola spetta sempre a ognuno di noi per la propria parte creativa. Il risultato è artisticamente interessante in quanto la combinazione bilanciata tra il suono e l’immagine da vita ogni volta ad una nuova opera, ed è lo stesso equilibrio che abbiamo trovato anche nella nostra vita privata.

C – Il background di ogni essere umano condiziona in qualche modo le proprie scelte in tutti gli ambiti. Quale musica ascoltavate a 20 anni e quali sono stati gli esponenti della scena artistica che hanno influenzato maggiormente il vostro lavoro?

PT – Laura ascolta musica classica e jazz, ma le piace molto anche l’elettronica. Io invece sono cresciuto in una famiglia dove esisteva solo la musica classica, mio padre era un grande estimatore collezionista di dischi, intransigente verso ogni altra forma di musica, e mia nonna era concertista. Ma a 15 anni naturalmente mi sono ribellato e ho iniziato a suonare la batteria. Suonavo e ascoltavo principalmente rock anni 70’. Poi negli anni, avvicinandomi al mondo dell’elettronica e della musica sperimentale, i miei ascolti hanno cominciato a spaziare. Proverò a fare una classifica di 5 riferimenti che hanno segnato la mia vita musicale:

5° posto: Pierre Schaeffer (1910-1955) il padre ti tutti i DJ. E’ stato colui che con i primi registratori a nastro ha dato il via alla musica concreta utilizzando loop e suoni registrati. Penso che le sue idee siano ancora oggi le fondamenta e fonte di ispirazione per tutti coloro che fanno musica elettronica.

4° posto: Led Zeppelin. L’anima rock che è presente soprattutto in “The White Side” arriva da questo grande gruppo. Lo stile unico delle batterie di John Bonham è sempre stata grande fonte di ispirazione per me così come le chitarre di Page anche se interpretate magari con sonorità sintetiche all’interno della produzione.

3° posto: Prince. E’ stato un maestro nell’uso complesso delle parti ritmiche a incastro nell’arrangiamento. Ad esempio durante la produzione di The White Side ho utilizzato molte batterie acustiche che ho registrato in studio insieme a suoni percussivi puramente elettronici cercando di ottenere un arrangiamento che suonasse davvero compatto nel mix.

2° posto: Alessandro Cortini. la sua eleganza e il suo stile italiano abbinato ad una ricerca contemporanea del suono elettronico lo rendono secondo me pari ai grandi compositori italiani del passato. 

1° posto: Chemical Brothers. L’uso della parte visual come parte integrante della musica è stato sicuramente per noi la fonte di maggior ispirazione.

C – La rivoluzione digitale ha senza dubbio creato un forte condizionamento in ogni ambito artistico, culturale e sociale. Quanto è importante restare al passo con i tempi per ciò che concerne le nuove tecnologie, e relativi software, quando si vuol realizzare un’idea?

PT – Ho avuto la fortuna di lavorare in grossi studi di registrazione negli anni 90’ quando la rivoluzione digitale ebbe inizio. Fu proprio nel campo dell’audio che cominciò, alcuni anni dopo toccò alla fotografia e poi più recentemente al video. All’epoca la percezione era quella dell’innovazione tecnologica pura, forse eravamo tutti influenzati da quei fantastici telefilm di fantascienza che personalmente adoravo come U.F.O. o Spazio 1999, eravamo tutti pazzi! Andavamo alle fiere in cerca dell’ultima novità tecnologica come se si trattasse della scoperta del teletrasporto, per poterci stupire ed esaltare. Ricordo ancora il mio caro amico Michele Paciulli, geniale dimostratore Korg, quando al SIM di Milano illustrò per la prima volta la Korg Dss-1, penso fosse il 1987, fu il primo campionatore commerciale. Lui era davvero coinvolgente una sorta di mago, appariva tra il fumo e le luci e ci regalava uno spettacolo degno di Broadway! Aveva campionato una vocina con tutte e 21 le lettere dell’alfabeto per poi suonarle in modo incredibile con la tastiera.  A noi sembrava l’Inno alla Gioia nel finale della 9 di Beethoven!! Ancora oggi quando ci ripenso rimango impressionato, mai avevamo udito qualcosa di simile prima. Ricordo che c’erano discussioni a non finire sui nuovi prodotti e quali fossero i migliori, c’erano addirittura delle vere e proprie fazioni tra chi usava un software e chi ne usava un’altro! Le novità erano assolutamente irresistibili ed io come tanti altri abbiamo vissuto indebitandoci per anni con le rate mensili presso il nostro negozio di strumenti di fiducia (ricordi i Blues Brothers nel negozio di Ray Charles??). L’idea in realtà per chi lavorava nel settore dell’audio professionale, era quello di migliorare sempre più la qualità del suono e di ampliarne le possibilità timbriche ed espressive per avvicinarsi alla perfezione sonora, ma come sappiamo con l’avvento di internet e dello streaming mp3 le cose andarono diversamente.

L’implosione del mercato discografico da una parte e le crescente offerta di strumenti e software sempre più accessibili dall’altra ha generato una scena underground senza regole e di fatto spalancato le porte all’Autarchia.

Questa secondo me è la cenere da cui oggi sta rinascendo l’Araba Fenice e penso stia avvenendo proprio tramite l’elettronica, che per natura agendo al di fuori delle regole nella sua infinita frammentazione, non è più possibile identificarla come un genere, ma è diventata una cultura, un modo di vivere la musica. L’elettronica diventa la colonna sonora che accompagna ormai buona parte dei momenti della nostra vita (pensiamo a tutti i suoni elettronici che quotidianamente sentiamo, dalle suonerie del telefono agli alert dei computer, alle voci dei navigatori) è diventato un linguaggio e come tutti i linguaggi rappresenta l’espressione di un pensiero. L’opera artistica secondo me deve andare oltre, è un’onda estetica molto sottile ed è forse ciò che più per natura si avvicina all’anima. Questo è ciò che conta per me, ed è ciò che tengo sempre a mente quando lavoro. Mi emoziona? Mi fa muovere? Trasmette energia? Sensazioni che devono partire dal brano indipendentemente da come e con che mezzi è stato prodotto. Questo forse è il bello oggi della tecnologia, può essere usata in modo completamente diverso a seconda dello stile.

C – Il dialogo tra artista e spettatore è stato riscritto dall’attuale emergenza sanitaria e conseguente distanziamento sociale. Come immaginate una vostra performance in futuro, e in quale luogo?

PT – Il nostro è un progetto che si evolve e che si nutre degli elementi della contemporaneità utilizzandoli alla stregua dei colori del pittore per dipingere un quadro ogni volta diverso. E’ stato così ad esempio per Identity uno degli ultimi nostri lavori, una perfomance in live coding e live visual dove il linguaggio dell’intelligenza artificiale viene rimodulato a fini puramente artistici, oppure per le sonorizzazioni di film muti che riproponiamo quando le condizioni lo permettono, con uno spazio visivo aggiuntivo trasformando il cinema e proiettando immagini rielaborate dal film anche sulle pareti laterali per creare uno scenario di tipo immersivo. Oggi viviamo una situazione difficile che è per noi stimolo a esplorare nuove strade cercando di cogliere quegli elementi che serviranno per mescolare i colori della tavolozza. Penso ad esempio alle tecnologie di streaming o alla raccolta di informazioni dalla rete. Abbiamo visto durante il lockdown alcuni interessanti esperimenti di perfomance collaborative a distanza. Una parte in presenza secondo me è sempre importante mantenerla, ma pensiamo ad esempio alla creazione di eventi in modalità condivisa dove un performer da remoto possa interagire con gli artisti su un palco. Potrebbe essere anche l’occasione per sperimentare diversi linguaggi come la danza, con il cinema, la musica e la poesia coinvolgendo artisti da ogni parte del mondo utilizzando la rete. Le idee sono molte e occorre lavorarci.

C – Qual è il progetto su cui state lavorando attualmente, possiamo avere un’anticipazione?

PT – Abbiamo alcuni progetti molto interessanti su cui stiamo lavorando. E’ in uscita a breve una  nuova pubblicazione  Project-TO, sarà un EP ambient-experimental dedicato alle poesie di Baudelaire, di più non voglio anticipare, ma avrà un progetto visivo molto potente anche per il live. Stiamo anche ultimando un progetto molto particolare per Art Site a metà tra l’opera d’arte contemporanea a la perfomance. Abbiamo ripreso immagini e suoni all’interno di una nota azienda orafa e abbiamo creato un progetto audio e video che verrà presentato in live e un’opera d’arte che unirà la musica alle immagini e all’oro in un vinile in copia unica, come simbolo di ricucitura tra la natura e l’uomo. In questi giorni dovevamo portare Identity, perfomance in live coding e live video, al Robot Festival di Bologna che è stato posticipato in primavera per le condizioni sanitarie e poi abbiamo altri progetti transmediali in cantiere molto sperimentali, che speriamo di poter realizzare nei prossimi mesi, vista un po’ la situazione generale.

www.project-to.com
facebook.com/project-to

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