TechnoFrames: Sound Of Berlin – A journey through the capital of electronic music

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“TechnoFrames” è una piccola rassegna di documentari, curata dalla nostra collaboratrice Dora Bugatti, sul mondo della musica techno ed elettronica. In sei appuntamenti a cadenza bisettimanale presenteremo un documentario gratuitamente fruibile sul web, con lo scopo di ampliare l’orizzonte narrativo della musica techno non solo con i suoni, ma anche con le innumerevoli immagini che ha prodotto nel corso degli anni, dalla sua nascita alla contemporaneità.

Rispetto ai documentari finora presi in considerazione, “Sound of Berlin” è un film recentissimo uscito appena il mese scorso sulla piattaforma Apple Music. Come fine si prefissa di investigare l’origine di questo suono, il suono di Berlino del titolo, da sempre immaginato come una qualità indefinibile e sfuggevole. Eppure, in dieci anni o poco più (“Feiern” della recensione precedente è del 2006) sono cambiate moltissime cose nel panorama della musica techno, anche Berlino, considerato ultimo baluardo delle tendenze più underground e, se vogliamo, intrinsecamente genuine. Nonostante le parole degli intervistati, che con decisione affermano che Berlino è esattamente uguale a se stessa, uguale a quando i primi party illegali emersero dal regno della notte per invadere le strade e contagiare con la propria spontaneità i luoghi abbandonati della città andando a saldarsi permanentemente con il suo immaginario, il fatto stesso che questo documentario esista è sintomo di una commercializzazione dovuta all’interesse crescente degli ultimi anni attorno alla musica techno e ai suoi miti. 

“Sound of Berlin” è infatti vittima, forse inconsapevolmente, di questa tendenza “glamour”: In poco meno di un’ora di documentario, la diffusione della musica elettronica e il suo ruolo storico nella riunificazione delle Germania sono tematiche che vengono toccate con sguardo superficiale, nonostante il film vanti fonti di prima mano del tutto autorevoli e chi meglio di loro per raccontarci la caduta del muro e l’avvento dei primi party: Dr. Motte, DJ e co-fondatore della Love Parade; Juan Atkins, pioniere del genere a Detroit e Dimitri Hegemann, fondatore del Tresor. L’impianto narrativo non è dissimile dagli altri film presi in esame, trattandosi di interviste alternate a immagini recenti o di repertorio, la differenza sta nella precisa cura stilistica, nel montaggio quanto più ritmato delle sequenze e nell’espediente narrativo di una giovane che, attraverso il suo sguardo e la sua figura, ci accompagna nei luoghi simbolo che verranno presi in esame, dalla caduta del muro ai giorni nostri. Tuttavia, se in un primo momento la fotografia patinata, la narrazione fuoricampo e la ricerca visiva del girato sembrano configurarsi come una più contemporanea e fresca visione nel genere dei documentari sulla musica underground, ben presto lo stile si scinde dalla sostanza andando a rivelarsi iterazione delle stesse sequenze e idee, catalogo di Berlino per turisti curiosi. E il nucleo sta proprio qui: la presenza massiccia di turisti sembra sia per alcuni un ostacolo alla originale idea alla base dei club e dei ritrovi per ascoltare musica techno per 72 ore consecutive, ma gli intervistati, tra cui Pan-Pot e Marc Houle (anche autore della soundtrack), si chiedono se senza questo tipo di turismo la città non tornerebbe ad essere semplicemente una normale… città. Una fin troppo visibile captatio benevolentiae. 

Non tutto è da buttare, però: uno dei frammenti più interessanti del documentario è sicuramente l’intervista di Ekaterina Gribanova, bouncer a Berlino, che fa luce su alcuni degli aspetti più interessanti e misteriosi alla base della stretta selezione dei club, aspetti di cui aveva già parlato Sven Marquardt nell’intervista a GQ. Questo spaccato ripulito di club culture, poi, lascia da riflettere sul cambiamento, su cosa voglia dire “commerciale” e cosa “underground” e sul ruolo contemporaneo di Berlino come influenza di un genere musicale che, alla propria nascita, tutto era fuorché un meccanismo di pubblicizzazione. La nostalgia è naïf e il tempo può soltanto scorrere in avanti, ma è interessante notare come ad esempio, i Pan-Pot stessi (che sono un po’ il prodotto di questo processo) vedano il futuro della techno nella capitale tedesca influenzato da un big crunch che riporterà la musica in club e feste più piccoli e l’attenzione nuovamente a nicchie e sottogeneri della techno. Ai posteri l’ardua sentenza, ecco “Sound of Berlin” .

 

 

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